In seguito alla proposta di emendamento all’Art. 83 del DL Cura Italia presentata dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Femminicidio - dedicata, in questa seconda edizione, specificatamente alla violenza istituzionale - finalizzata a proteggere le donne vittime di violenza domestica dall’eventualità di dover incontrare i padri violenti, dai quali si sono separate, nel contesto degli incontri protetti previsti per garantire a questi c.d. “comunque padri” la relazione con i loro figli, il Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale ha sentito urgente la necessità di precisare quanto segue:
È pressoché impossibile alle donne riuscire a dimostrare la violenza domestica in sede giudiziaria soprattutto se si trovano in fase di separazione e sono coinvolti dei figli minori.
Rileviamo infatti come la stragrande maggioranza delle denunce di queste madri vengano o archiviate perché ritenute di default strumentali o perfino ritirate sotto la pressione delle stesse istituzioni (giudici) o avvocati o consulenti tecnici d’ufficio (perlopiù psicologi) dietro la costante minaccia di potersi altrimenti vedere strappare i figli in sede di procedimento civile se non si mostrano collaborative con il violento.
Anche nella ormai rara circostanza in cui, in seguito alla denuncia, si riuscisse a far avviare un procedimento in sede penale a carico del violento - cosa che comunque prevede, come noto, tempi molto lunghi - ma ormai perfino in caso di condanne anche al terzo grado di giudizio, questi soggetti continuano a poter prepotentemente far valere il proprio diritto alla genitorialità appellandosi alla Legge 54/2006 che prevede di fatto l’obbligo dell’affido condiviso e che considera la bigenitorialità come il supremo interesse del minore da preservare a tutti costi anche a rischio della salute e incolumità psico-fisica dei bambini e molto spesso contro la loro stessa espressa volontà.
Non esiste inoltre nessuna differenza o “graduatoria di gravità” tra i casi di madri che hanno già perso i propri figli in favore del padre violento (e sempre più spesso previo inserimento dei minori per mesi in case famiglia affinché vengano “resettati” e venga dunque reciso il legame con la madre prima di essere consegnati al padre, il quale spesso è il promotore della richiesta di collocamento dei figli in casa famiglia come atto punitivo verso la ex partner) e quelle che invece ne hanno ancora la custodia o meglio il c.d. collocamento visto che queste ultime vivono, con i loro figli, praticamente per anni in regime di “libertà vigilata”, controllate e private della libertà personale e di autodeterminazione in particolare quando i bambini sono affidati ai Servizi sociali o a Tutori, in costante ed estenuante attesa che da un momento all’altro possano essere emessi dai Tribunali decreti di allontanamento dei figli: in entrambe le situazioni infatti si tratta di vittime di violenza domestica le quali si trovano semplicemente in fasi diverse di ciò che ormai possiamo definire come una sorta di “trattamento sanitario obbligatorio istituzionale” a fasi ben prestabilite ovvero quel consolidato e diffuso modus operandi, o meglio malpractice, in atto da anni nei Tribunali che vede le madri accusate di “alienazione parentale” (nominata nelle perizie direttamente o indirettamente attraverso l’utilizzo di concetti affini quali - a titolo esemplificativo ma non esaustivo - di essere madri simbiotiche, condizionanti, assorbenti, adesive, malevole, ecc.) solo perché cercano di tutelare loro stesse e i propri figli dalla violenza dell’ex partner e padre dei loro figli e le vede diventare conseguentemente anche oggetto di una sistematica e quotidiana violenza istituzionale che ha appunto come fase finale la perdita dei figli.
Nonostante questa “diagnosi” - cioè quella di alienazione parentale, effettuata dai CTU (Consulenti Tecnici d’Ufficio nominati ormai di prassi dai giudici per valutare le c.d. capacità genitoriali non al limite del violento ma sempre più spesso solo della madre vittima di violenza) e largamente sostenuta anche dagli operatori dei servizi sociali - non si configuri come reato nel nostro ordinamento giuridico, non sia compresa nei manuali diagnostici ufficiali quali ICD e DSM e sia ampiamente condannata come costrutto inesistente e ascientifico da più parti a livello nazionale ed internazionale, tuttavia essa viene da anni impunemente ed indebitamente utilizzata per giustificare e attuare sia la sottrazione dei minori alle madri e dunque spesso la perdita o la sospensione della responsabilità genitoriale che, successivamente, l’istituzione di incontri protetti tra madri e figli, misure che sarebbero tuttavia previste solo in gravissime circostanze di rischio per i minori e che spesso non vediamo applicate neppure per i violenti i quali incredibilmente mantengono inalterati tutti i loro diritti genitoriali.
Nessun intervento fattivo e concreto è stato ad oggi posto in essere per far uscire definitivamente dalle aule dei Tribunali il costrutto ascientifico dell’alienazione parentale né per rispristinare lo stato di diritto nei procedimenti giudiziari da esso fuorviati nonostante molte madri stiano cominciando, con grande coraggio e a loro spese, a denunciare tali professionisti nelle procure o presso gli ordini professionali per i gravi vizi, incongruità e falsità contenuti nelle loro perizie e a denunciare anche pubblicamente la violenza istituzionale che ne consegue.
Le madri dunque non hanno di fatto più alcuna possibilità di difesa una volta che la macchina dei tribunali con l’accusa di essere madri malevole si è messa in moto, perché più cercheranno di dimostrare la loro innocenza (cosa già di per sé incredibile visto che l’onere della prova sarebbe a carico di chi accusa) e di denunciare e far emergere le violenze - anche istituzionali - e più saranno ritenute “madri conflittuali” creando così un vero e proprio corto circuito all’interno del procedimento civile da cui scaturisce anche una feroce violenza economica poiché costrette all’esborso incessante di migliaia e migliaia di euro tra difese legali, pagamento di mediazioni o psicoterapie di fatto obbligatorie, pagamento di CTU e consulenti di parte (sempre che, tra l’altro, possano permetterselo).
Le macroscopiche criticità appena menzionate si possono ritrovare nelle conclusioni dell’analisi già effettuata nel corso della prima Commissione Parlamentare d’inchiesta che ha appunto giustificato e motivato l’istituzione di questa seconda Commissione finalizzata ad approfondire e valutare i cambiamenti necessari da attuare al fine di tutelare concretamente le vittime di violenza domestica diretta o assistita e di violenza istituzionale prevenendo la sottrazione dei figli alle madri che hanno denunciato violenze e abusi e non intervenendo, quando ciò avviene, a danni già fatti e quando le vicende processuali e la salute psico-fisica dei minori e delle donne stesse sono già state gravemente compromesse.
A maggior ragione esprimiamo la nostra preoccupazione sia per situazione generale e in particolare per questo emendamento perché, oltre a non risolvere in alcun modo il problema preventivamente - in quanto le vittime di violenza (soprattutto se di violenza psicologica) di fatto non esistono per questo ordinamento ma sono costantemente ridefinite dagli operatori del sistema giudiziario come appunto “madri conflittuali” - rappresenta anche un danno enorme per i bambini e le madri che hanno perso indebitamente la responsabilità genitoriale e il collocamento dei figli, quelle cioè che sono arrivate all’esito finale previsto da questi “T.S.O. istituzionali”.
Ciò dimostra quanto purtroppo ancora si è lontani dall’aver chiaro quali siano le dinamiche della violenza istituzionale nonché quei vulnus che non permettono di fatto né la tutela dei minori e neanche delle loro madri dalla violenza domestica prima e da quella istituzionale poi.
Il Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale fin dalla sua nascita nel settembre 2019 ha sempre offerto la propria esperienza diretta e i dati raccolti al fine di collaborare fattivamente al lavoro della Commissione Parlamentare segnalando alla stessa alcuni casi giudiziari esemplari ma anche fornendo documenti e relazioni tecniche di ambito psicologico, psichiatrico e giuridico e di nuovo si rende disponibile, perché interessato alla tutela di tutte le madri e di tutti i minori, a chiarire come questa interpretazione del problema sia parziale, fuorviante e perfino dannosa per le vittime che continueranno a non essere riconosciute come tali e dunque a non essere protette non solo dagli agiti del violento ma anche dalla violenza istituzionale.
COMITATO MADRI UNITE CONTRO LA VIOLENZA ISTITUZIONALE
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